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Da
La Repubblica del 1 marzo
2002
I rami dovrebbero essere tagliati
ogni tre anni per proteggere i fusti dal vento. "Stop alle potature
selvagge" la denuncia
Palme decapitate a
Mondello Legambiente contro il Comune
MARCELLA CROCE
Ammassati in grandi rimorchi giacciono i resti dell'ultima ferita
inferta al verde urbano di Palermo: nei giorni scorsi un'ennesima
potatura ha privato viale Regina Elena, lungomare di Mondello, della
bellezza delle sue palme. Sugli altissimi tronchi rimangono solo dei
miserandi scopettini, piccoli ciuffi che non basteranno ad assolvere
alla loro funzione naturale: proteggere il fusto della pianta dal vento,
dalla salsedine, e dalle intemperie, dal freddo così come dal caldo.
Esaurita da tempo, e per semplice incuria, la loro funzione alimentare,
(ancora nel 1239, un documento di Federico II concedeva agli ebrei in
appalto il regio dattileto, che era monopolio di stato), le palme, così
ridotte, non contribuiranno più a dare a Palermo quell'aspetto un po'
esotico che, fin dal tempo degli arabi, la rende diversa da tante altre
anonime città del mondo.
«Gli alberi da frutto hanno bisogno di potatura per acquisire
sufficiente energia per produrre i frutti, le altre piante no,
altrimenti, insieme al fogliame e alla fioritura, perdono sia la loro
funzione ornamentale, che quella ossigenante e climatizzante che ce le
rende così necessarie», dice Gabriella Pucci, consigliere della
Legambiente di Palermo.
La Pucci è una vecchia conoscenza della ripartizione Ville e Giardini.
Da anni si batte per evitare che i giardinieri trattino tutte le piante
ornamentali alla stregua di quelle da produzione, ma sembra che quello
delle associazioni ambientaliste sia solo un monologo: i capi
ripartizione del Comune ascoltano, assentono, fanno qualche sopralluogo,
magari qualche volta rispondono ai numerosi solleciti pervenuti, e poi
da anni le potature proseguono ugualmente come se nulla fosse accaduto.
Antiestetici fusti legnosi, ecco tutto ciò che è rimasto. L'essenza
della loro bellezza, cioè gli ombrelli che assolvono anche una
importante funzione ombreggiante, sono scomparsi sotto i colpi
implacabili delle seghe, e le palme impiegheranno lunghi anni per
riprodurli. Giuseppe Barbera, ordinario di Coltivazioni arboree presso
l'Università di Palermo, sostiene che la potatura delle palme deve
essere effettuata solo ogni duetre anni, e dovrebbe interessare non più
della metà del loro fogliame. Barbera ricorda inoltre che, in teoria, il
Comune di Palermo possiede le competenze necessarie visto che due
tecnici hanno in passato seguito dei corsi di formazione, uno dei quali
specifico sulle palme, ma poi sono stati entrambi spostati ad altre
funzioni. «È molto grave - aggiunge Barbera - che il Comune non sia
dotato né di un piano di gestione del verde né di un inventario, e che
quindi si proceda nella massima improvvisazione».
Non sono solo le palme a essere vittime di quella che sembra essere una
vera e propria persecuzione. Gli oleandri di Piazza Caboto e di Piazza
Valdesi, biglietto da visita di una spiaggia che, specialmente in
inverno, sarebbe splendida se non fosse così sporca, sono stati
brutalmente rapati a zero. «Ciò significa che fioriranno molto meno, e
in ritardo di almeno un mese e mezzo, cioè a stagione balneare ormai
avanzata», fa notare accorata Gabriella Pucci. Stessa amara sorte anche
per la maggior parte delle tamerici del lungomare, ridotte a tronchi
mozzi: i loro fiori rosa, splendidi in primavera sullo sfondo del mare,
non li vedremo per chissà quanto tempo. E se una moderata potatura può
avere una certa giustificazione per le palme, così non è per le
tamerici, la "umile pianta" che ha ispirato anche Pascoli.
La potatura in natura è operata solo dal vento: in città diventa una
necessità allorché gli alberi impediscono il passaggio delle persone e
degli autobus, quindi andrebbe limitata ai casi di estrema oggettiva
necessità. Al contrario periodicamente a Palermo tutti gli alberi
vengono a turno drasticamente amputati. Viene da chiedersi il motivo di
tanto accanimento. Secondo Giuseppe Barbera, è forse un modo, a spese
delle pianta, di economizzare sui costi, non dovendo così ritornare
sullo stesso albero per un più lungo periodo di tempo.
Può darsi, ma forse invece è solo un ennesimo aspetto dell'istinto
aggressivo verso gli inermi, e certo le piante sono tali: si preferisce
tagliare piuttosto che assolvere altri compiti, necessari ma umili, come
per esempio togliere le erbacce, che sicuramente non riescono a dare
altrettanta soddisfazione.
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