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MONDELLO e la sua storia

LA CAVA DI MONDELLO
È una mattina di primavera del 1928 e i lavori di ampliamento del porto procedono a ritmo incalzante. La baia, non stereotipata, come tutti i bacini più antichi conserva ancora intatti la bellezza della poesia e il sapore dell’avventura nelle sue calate strette, con a ridosso caratteristiche taverne ed un labirinto di vicoli.

 

Di Alessandro Costanzo Matta

«D’un tratto, quasi simultaneamente, il giallo rosario dei fanali si sgrana, si spegne: solo i due fuochi, rosso e verde, posti alle testate dei moli foranei, continuano ancora per pochi minuti, a proiettare a ritirare, con vece alterna, pennelli di luce… Passa su tutto il porto, sul quale sembrano addensarsi d’un tratto freddo ed oscurità, il grande brivido che precede ogni alba». A poco a poco il sole nascente risveglia tutte le cose e nel porto di Palermo comincia un’altra giornata di lavoro. Prendono forma le vecchie case, gli antichi muraglioni bianchi, gialli e ocra. Sulle banchine animali, gente, carri istoriati, riti marinari. Appaiono i pazienti velieri, le sagome nere dei piroscafi, la mole calcarea del Monte Pellegrino e dal fondo della Cala avanza lentamente un piccolo “schifasso”.(¹)

È una mattina di primavera del 1928 e i lavori di ampliamento del porto procedono a ritmo incalzante. La baia, non stereotipata, come tutti i bacini più antichi conserva ancora intatti la bellezza della poesia e il sapore dell’avventura nelle sue calate strette, con a ridosso caratteristiche taverne ed un labirinto di vicoli. Il suo cuore resta la Cala, che in epoca romana si addentrava per altri 400 – 500 metri in direzione del centro della città. Un rifugio sicuro, forse al tempo degli Arabi, che l’avevano denominata appunto Qala, cioè “insenatura riparata”, ma che per diversi motivi si mostrò inadeguata nei secoli successivi.

Nel 1567 per porre rimedio alla “traversia in essa imperante” si iniziò la costruzione di un nuovo riparo: il Molo Nord. Un’opera titanica per quel tempo, soprannominata per l’elevatissimo costo “la muraglia di pietre d’argento”. Sul finire del XVII secolo per l’architetto Camillo Camilliani il nuovo molo era “di cotale perfezione che un’armata da ogni fortuna(²) vi si può salvare”. Nel 1865 il Molo Nord venne allungato di 155 metri e nel 1871 iniziò la costruzione di un antemurale di contenimento. Tuttavia agli inizi del ‘900, il porto di Palermo non era consono agli standard imposti dall’intensificarsi del traffico marittimo e di merci e di passeggeri. Sia in materia di servizi ed infrastrutture che per questioni di efficienza e sicurezza.

I lavori di ampliamento e consolidamento cominciarono nel 1922. Concessi ad un Consorzio Portuale appositamente costituitosi, per subconcessione passarono nelle mani di una società, che nel giro di pochi anni sarebbe divenuta la S.A.I.L.E.M. del selfmade man Barresi. Dalla prima mina fatta brillare nel giugno di quell’anno al dicembre del 1923, la demolizione del forte di Castellammare della Cala è velocissima. Rimangono soltanto l’anima del Castello, l’antichissimo mastio arabo, il suo ingresso e la chiesetta in cui pregarono il padre ed i compagni di Riso prima di essere fucilati. La vasta area per “arredamenti di interesse portuale” è pronta.

Si passa così alla seconda fase. Altro punto cardine è infatti la creazione di una diga foranea a protezione dei bacini interni. Un’opera ciclopica e non priva di rischi e difficoltà: lunga 600 metri, in fondali di circa 40 richiede ogni giorno il versamento di migliaia di tonnellate di materiale. Si decide pertanto di “intraprendere su vastissima scala la coltivazione della cava di Mondello”,  incastonata in acque di un azzurro intenso sotto le pendici di Capo Gallo. La cava era stata già sfruttata. Nel 1911 la Ditta Fogliotti, in base ad un programma portuale ridotto, aveva tratto e versato circa mezzomilione di tonnellate là dove ora si prevede di creare la nuova diga. Ma ancora una volta la cava di Mondello è pronta a dare un enorme contributo alla crescita del porto. Gli operai, a colpi di mina, ingrandiscono il vasto piazzale esistente alle falde del monte. Quasi quattrocento carrelli scorrono su trecento metri di binari di Decauville, mentre gli sterratori, circondati solo da radi cactus, feriscono la montagna. Pietre e blocchi di diverse dimensioni vengono disposti sui vagoncini da dieci grù elettriche, quindi si procede alla numerazione prima di avviarli al carico. Da un piccolo pontile, con grandi grù i massi, secondo il peso, vengono imbarcati su delle bette. Che di volta in volta sono agganciate da uno dei sei rimorchiatori in forza al parco natante dell’impresa costruttrice.

Trascorsi quattro anni di intenso lavoro con un ritmo di 2000t versate al giorno, la cava di Mondello comincia a mostrare uno spessore di terra rossa sempre maggiore. Si ingaggiano più sterratori: alcuni di essi perdono la vita per le frequenti frane. Si opta dunque per l’acquisto di “una poderosa escavatrice meccanica Eire”: lo smaltimento della terra è rapidissimo, grazie al lungo braccio sormontato da una grossa pala. I rimorchiatori continuano ad attraversare il golfo di Mondello, costeggiano il litorale di Vergine Maria e dopo circa sei miglia giungono all’imboccatura del porto di Palermo.

Quella mattina di primavera del 1928 è calma piatta. Dalla cava arriva un ennesimo carico. Viene distribuito “sui pontoni destinati al versamento della pietra più grossa (seconda o terza categoria: da mezza tonnellata a cinque e da cinque in su): sono di ferro, della portata unitaria di 250t, a sbandamento”. Due coraggiosi ed esperti marinai addetti al versamento aprono apposite valvole, i cassoni longitudinali di dritta si allagano e il pontone comincia a sbandare. Le mani dei due uomini ben serrate alla ringhiera, un gorgoglio e i massi precipitano nell’acqua entro i limiti delle sezioni assegnate. Un rimorchiatore trascina via il pontone pieno di polvere e detriti. Ne arriva un altro. Continua a pieno ritmo il completamento della scogliera subacquea di imbasamento, “che deve essere larga, in cresta, m.24 nel centro della diga e m.34 nella testata Sud, e rasata alla quota m.10 sotto il comune marino, per mezzo della draga e del palombaro”. “Una grua a cavalletto, della portata di 200t, ideata dalla S.A.I.L.E.M., realizzata dalla Ditta D’Anna Lombardo Carbone & C. di Palermo” e il mastio arabo si riempie tutt’intorno di bianchissimi blocchi di calcestruzzo. Un pontone da 200t li solleva, li cala lentamente in acqua, uno alla volta. Lunghi 9 m, alti 3, per 120t di peso, devono essere posizionati di punta. Un blocco combacia con un altro e il solerte marangone, chiuso nel suo scafandro, lo libera. In quel giorno ne riesce a collocare nove. Massi artificiali, dallo scheletro di ferro, nati rapidamente da brecciame, cemento e pozzolana, a stretto contatto con i massi naturali della cava di Mondello. Pietre secolari e pietre senza storia, insieme costituiranno la base sulla quale insisterà la struttura muraria della diga foranea. Nel mentre il potente frangi roccia “Lobnitz” è in costruzione. Darà il via alla terza fase, “estirpare nell’interno del porto un vasto banco roccioso esistente nel bacino centrale, che rende il fondo poco tenitore”.

La giornata volge al termine. Il palombaro riemerge sotto un cielo dai colori unici e irrecuperabili: l’elmo che brilla nella luce del tramonto e negli occhi la forza di chi crede nel domani.


(¹) Bilancella, piccola barca a remi per servizio dei bastimenti.

(²) Fortunale, violenta tempesta.