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di Dario Miceli LO SPORT IN
SICILIA GIUNGLA SELVAGGIA
ANATOMIA DI UN SETTORE MALE ASSISTITO
Le condizioni ambientali
sarebbero ideali per realizzare il magico binomio tra
sport e turismo, che potrebbe, anzi dovrebbe, fungere da
volano per lo sviluppo dell'economia in Sicilia. Il
numero di atleti e di società sportive iscritte nelle
varie federazioni è elevatissimo,
sono 5000 le società
esistenti,
tale da legittimare
pienamente una presenza autorevole e costante
nell'empireo dello sport nazionale. E i talenti? Ci sono
e ci sono stati anche quelli (vedi Schillaci, Antibo,
Pino Leto, tanto per fare qualche nome). Ma allora, che
cosa manca perché il cerchio si chiuda? Come mai,
nonostante questo quadro generale a prima vista
favorevole, lo sport siciliano, a parte qualche rara
eccezione, è destinato a restare ai margini della
competizione nazionale? Per gli addetti ai lavori, la
giustificazione - secondo una ben radicata abitudine
culturale nostrana - è una sola:
"Mancano i soldi".
Ma siamo proprio sicuri che
la prima causa di tutti i mali sia la carenza di denaro?
Per la verità, dando una sbirciata alle somme stanziate
ogni anno da Regione, Province e Comuni per il
potenziamento delle attività sportive in Sicilia, non si
direbbe. I numeri? Eccone uno per tutti: nel 1996 la
Regione ha destinato allo sport una somma che si aggira
intorno ai
42 miliardi.
Ai quali vanno aggiunti
quelli - e non sono pochi - erogati da Comuni e Province.
Questo basterebbe, insomma, per avere almeno una squadra
per ogni disciplina in corsa nei massimi campionati
nazionali. Invece non è affatto così. A parte le felici
eccezioni di Priolo nel basket, di Siracusa e Catania
nella pallanuoto e nella pallamano, di Catania
nell'hockey femminile e di Palermo nel windsurf ed in
qualche altra specialità velica, il resto è tutta una
brodaglia insapore fatta di una miriade di medie e
piccole e piccolissime realtà, assolutamente prive di un
passato alle spalle e, quel che è peggio, senza alcun
futuro. Per non parlare del calcio...
É dunque un problema di
denaro?
Probabilmente sì, ma nel
senso che è tanto, ma mal distribuito. "É vero -
conferma il segretario del Coni regionale, Aldo Di Pietro
-,
i contributi pubblici si
perdono in mille rivoli,
mentre sarebbe più corretto
individuare i settori e le realtà più significative e
indirizzare in quella direzione la parte più consistente
di incentivi". In realtà, un certo criterio nella
distribuzione del denaro pubblico alle società sportive
viene rispettato dalla Regione siciliana che, per legge,
ha da alcuni anni fissato una sorta di tariffario in base
al quale ciascuna società percepisce i contributi in
ragione della categoria (serie nazionale o regionale,
ecc...) in cui svolge la propria attività. Ma così non
è per i contributi dei Comuni e delle Province, la cui
"gestione" è affidata in via esclusiva agli
amministratori di turno, secondo criteri del tutto
variabili, quasi sempre discrezionali, talvolta
clientelari. Risultato:
la politica di sostegno allo
sport
è di fatto una giungla selvaggia
- una delle tante,
purtroppo, in Sicilia - dove però non sopravvive il più
bravo e il più forte, ma chi ha più amici in questa o
in quella giunta, comunale o provinciale che sia. La
conseguenza è che in questo "sistema" può
succedere davvero di tutto; anche che tra due società
sportive che militano nello stesso campionato, l'una
fruisca di contributi per decine di milioni da parte
degli enti locali e l'altra, che magari opera in una
altro comune o in diversa provincia, debba accontentarsi
di qualche milionata prevista nel bilancio della Regione
e che, si sa, se tutto va bene arriva con due anni di
ritardo. Ma può succedere di peggio: ad esempio - e
parliamo di fatti realmente accaduti - che la Regione
decida di destinare svariati miliardi per sostenere varie
attivita turistiche e sportive e non si attivi per
contribuire minimamente alla realizzazione di una
manifestazione di livello mondiale, come il Windsurf
World Festival, l'unica con intervento di privati che da
almeno un decennio esporta davvero l'immagine migliore
della Sicilia (il mare, gli splendidi litorali, il sole)
in tutto il pianeta, confezionando quel magico binomio di
sport e turismo che da anni la classe dirigente siciliana
invoca come unica soluzione possibile per il rilancio
economico dell'Isola.
Ma i fiumi di parole si
perdono
nel mare degli sprechi
che nel settore dello sport,
così come in tutti gli altri, sono sotto gli occhi di
tutti. L'esempio più clamoroso è proprio quello dei
centri di avviamento allo sport. In Sicilia sono
centinaia, e altrettanti sono i milioni che vengono
erogati a pioggia dai Comuni e dalle Province. Ma nessuno
si chiede a che cosa serva allevare potenziali nuovi
talenti se poi non esistono, nelle diverse discipline,
società di vertice dove questi talenti possano mettersi
in mostra. Perché mai un giovane dovrebbe sacrificare il
proprio tempo libero ad allenarsi per ore e ore, se non
ha la speranza di potere un giorno raccogliere i frutti
del proprio impegno? La logica porta a queste
considerazioni, ma la scelta della politica dello sport
si muove in direzione opposta incentivando, cioè, le
scuole di sport, e lasciando morire le società - poche,
per la verità - che dimostrano di avere le carte in
regola per accreditarsi ai massimi livelli. Cosicché,
continuando di questo passo, presto
la Sicilia diverrà l'isola
dove si
coltivano le speranze e si distrugge la realtà.
Certo, chi porta avanti
questa
politica potrebbe obiettare che le finalità dei centri
di avviamento allo sport sono esclusivamente sociali. E
su questo nulla da eccepire. Se, però, vogliamo che lo
sport sia, oltre che momento di aggregazione fra i
giovani, anche occasione di sviluppo per l'economia della
nostra regione, è evidente che, quanto meno nella
distribuzione delle risorse vi debba essere una maggiore
razionalizzazione. In
definitiva, il "problema dei soldi" rischia di
essere un falso problema.
Per risolverlo, basterebbe
mettere attorno a un tavolo dirigenti sportivi ed enti
locali e predisporre un piano di settore che stabilisca i
criteri di erogaione dei contributi, a seconda del
livello di attività svolta dalle società sportive.
"Un'ipotesi potrebbe essere quella di assegnare ai
Comuni la politica di promozione di iniziative sportive
che si svolgano nell'ambito del territorio comunale, alle
province le manifestazioni a carattere provinciale, e
lasciare alla Regione la "gestione" dello sport
di alto livello", propone Di Pietro del Coni. Ma a
questo punto sorge spontaneo un altro, terribile
interrogativo:
una volta messa a punto la
questione dei finanziamenti pubblici, lo sport siciliano
sarebbe in grado di spiccare il volo?
Gli addetti ai lavori
nicchiano. Quando si comincia a parlare di
organizzazione, di gestione manageriale delle società,
di alta professionalità dei dirigenti, cala il silenzio.
Si ode soltanto la voce lontana di qualche eroe dello
sport d'altri tempi, che evoca la nostalgia dei vecchi
dirigenti tuttofare, dei padri-padroni dal fiuto
eccezionale i quali, sia pure con le tasche vuote ma con
il cuore pieno di passione, si portavano in giro per il
Paese, con mezzi di fortuna, i loro piccoli grandi
talenti a conquistare titoli e medaglie. Purtroppo - o
per fortuna, a seconda dei punti di vista - i tempi sono
cambiati.
E oggi, con la sola forza
dell'entusiasmo, non si muove foglia.
L'atleta chiede servizi,
assistenza medica, e ogni altro genere di confort. Giusto
o sbagliato che sia, il "romanticismo" è
finito e bisogna adeguarsi. Il tempo della "gestione
familiare" è ormai superato.
Le società sportive vanno
gestite come vere e proprie aziende.
Ma in Sicilia, purtroppo, la
classe dirigente è ancora tutta da formare, con le
dovute eccezioni, anche in questo caso... . Per questo i
"tecnici" del Coni Sicilia parlano della
necessità di dar vita a dei corsi di formazione per
dirigenti di società.
D'ora in poi saranno i
manager i nuovi talenti che lo sport siciliano andrà
cercando.
É questa la scommessa del
duemila: superare quello stato di mediocrità che negli
anni è divenuto un fenomeno endemico in Sicilia. Come?
Abbandonando i piccoli orticelli e smettendo di
elemosinare il denaro pubblico, per cominciare davvero a
guardare allo sport come a un settore che può diventare
portante dell'economia siciliana.
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