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Pubblicazione iscritta il 26/03/1983
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Oltre
il ragionevole dubbio
(Il caso Forti)
Bisogna raccontare altri aspetti di questo
caso per comprendere, pienamente, con quale atteggiamento psicologico le
parti giocheranno i loro ruoli nel corso del processo.
Più che fatti o circostanze, sono vere e proprie particolarità del
contesto. Le ho inserite sotto questo titolo perché in altro modo non
saprei definirle. Si tratta di singolarità di natura strutturale e
singolarità di gestione delle prove.
È molto singolare, per esempio, che il processo americano attribuisca
l’ultima parola all’accusa e non alla difesa. Pertanto, la requisitoria
del pubblico ministero Reid Rubin (che leggerete di qui a poco) è
l’ultimo atto del processo prima che i giurati escano dall’aula e si
riuniscano in camera di consiglio per deliberare.
Non è cosa da poco.
La suggestionabilità dei giurati (cittadini eletti a sorte) non
necessita spiegazioni.
È, ancora, molto singolare che il processo non permetta ai giudici di
indicare alle parti temi nuovi o integrazioni probatorie: la decisione
va presa sulla base di quello che le parti hanno deciso di mostrare
loro. Quindi, inspiegabilmente, non sono stati ascoltati, nel processo,
l’imputato Forti, la moglie Heather, il condannato per reato collegato
Thomas Knott e altri che pure avevano partecipato direttamente ai fatti.
L’estrema singolarità di questo modo di procedere appare evidente.
***
Ho già accennato al ruolo del giudice Victoria Platzer.
Sicuramente, l’avere svolto funzioni inquirenti nel processo per
l’omicidio Versace poteva in qualche modo generare una causa (anche solo
virtuale) di incompatibilità.
Ragioni di opportunità avrebbero, quindi, suggerito la sua astensione.
In modo molto singolare, il giudice non ritenne di astenersi (fin qui
fisiologia della libera scelta) ma, nello stesso tempo, decise di
estromettere la possibile prova del “complotto” ai danni di Forti
facendosi giudice di se stesso, ossia esaminatore di una circostanza che
incideva sulla propria incompatibilità.
Un’altra ragione di opportunità avrebbe poi suggerito al giudice
l’astensione: Victoria Platzer era stata giudice del processo contro
Knott (caso n. 6051 del 1998) in cui ogni possibile accusa connessa
all’omicidio era stata oggetto di patteggiamento.
***
Un altro aspetto singolare riguarda la cauzione che fu imposta al
momento in cui l’imputato, accusato di truffa e circonvenzione di
incapace, fu rimesso in libertà condizionata.
La cauzione fissata per Forti fu pari a dieci milioni di dollari, una
cifra record negli USA per un caso di truffa (poi commutata con il
blocco di tutte le sue proprietà). Esisterebbe, in tal senso, una
registrazione del Tribunale definita Arthur Hearing del 24 febbraio 1998
che ne comproverebbe l’effettività.
Tutto ciò farebbe pensare ad una sorta di prevenzione nei confronti
dell’imputato.
Su questo aspetto del pregiudizio, Enrico Forti non lesina gravi
sospetti di natura xenofoba.
La notte tra il 20 e il 21 febbraio 1998, in cui avvenne l’arresto, il
detective Gonzales, nel togliere gli effetti personali all’imputato,
avrebbe preso una fotografia dei suoi bambini e avrebbe detto: «Tu sei
l’italiano che ha detto che la polizia di Miami è corrotta? Non vedrai
più i tuoi bambini». Avrebbe preso la foto e l’avrebbe strappata sotto i
suoi occhi gettandola in un cestino.
È inutile cercare questa circostanza tra gli atti del processo
dibattimentale.
La sera dell’arresto, Forti sarebbe andato di sua iniziativa alla
stazione di polizia senza un avvocato perché il suo amico detective Gary
Schiaffo lo aveva rassicurato sul carattere del tutto informale
dell’incontro.
Come abbiamo visto, Gary Schiaffo era lo stesso uomo che aveva
collaborato con Forti nella realizzazione del filmato “Il sorriso della
Medusa” sul caso Versace e sulla fine di Andrew Cunanan.
***
Singolare è la contestazione su alcune circostanze storiche già
delineate prima.
Secondo la ricostruzione evidenziata dalla difesa, il cadavere di Dale
Pike era completamente nudo e avrebbe avuto accanto solo il cartellino
d’ingresso negli Stati Uniti.
Da qui il dubbio che il cartellino fosse scivolato “per caso” vicino al
corpo (era già sera e la visibilità limitata) o fosse stato lasciato lì
di proposito per facilitare il riconoscimento della vittima e
coinvolgere così, inevitabilmente, Enrico Forti nell’omicidio.
***
La difesa, inoltre, sostiene che il motivo del viaggio di Dale sarebbe
stato piuttosto quello di fare una vacanza proprio per conoscere Forti:
Tony Pike avrebbe desiderato che il figlio potesse lavorare con qualche
mansione all’Hotel Pikes.
A conferma di questo assunto esisterebbe una telefonata registrata tra
Helen Desrossiers e Tony Pike che comproverebbe questa affermazione. Il
colloquio non è stato mai accettato come prova perché registrato
illegittimamente in Canada, cioè fuori dalla giurisdizione americana.
***
Leòn Peña, notaio di Madrid, sarebbe stato ascoltato dal pubblico
accusatore Reid Rubin nel corso di un suo viaggio in Spagna. In una
lettera spedita agli avvocati di Enrico Forti, il notaio avrebbe
dichiarato che il rappresentante dell’accusa sarebbe andato a Madrid non
per verificare la regolarità del contratto di compravendita
dell’albergo, ma per trovare prove contro l’imputato.
Avendo fornito una testimonianza favorevole a Forti (per quanto
riguardava la regolarità del contratto), il notaio Peña sarebbe stato
depennato dalla lista dei testimoni e diffidato dal recarsi a Miami per
testimoniare al processo.
***
La domanda che la difesa ritiene non abbia mai avuto una ragionevole
risposta istruttoria riguarda le modalità dell’omicidio se poste in
rapporto con le qualità intellettive dell’imputato. Un immaginario
interlocutore potrebbe anche chiedersi come mai l’imputato, con uno
score superiore alla media ottenuto nei test di intelligenza (rilevabile
dalla sua scheda dell’esame psicologico sostenuto dopo l’arresto) e
molto istruito (parla correntemente cinque lingue), avesse potuto
pianificare un omicidio, andando a prelevare la vittima all’aeroporto in
tempi e modi così ristretti e dimostrando a tutti di essere l’assassino.
In altre parole, questo insensato modo di procedere sarebbe stato come
dichiarare: «Sono stato io… ma come fate a non capire?».
***
Sul tema delle menzogne riferite alla moglie e al padre della vittima il
racconto della difesa si inerpica come segue:
Tony Pike sarebbe arrivato a Miami soltanto alla fine di novembre 1997,
ospite di Knott. Avrebbe conosciuto Heather Forti e i bambini per caso,
mentre Enrico era assente per lavoro. Nei giorni seguenti, frequentando
la piscina comune del condominio in cui abitavano, si sarebbe
consolidata una specie di amicizia. In quella circostanza Tony avrebbe
parlato con Heather anche del figlio Dale, indicandolo come una persona
inaffidabile e dedita ai vizi più sfrenati e con la quale non aveva più
rapporti da almeno nove anni.
Tre mesi più tardi, quando si prospettò la possibilità di ospitare Dale
a casa loro, Heather si oppose drasticamente e avrebbe chiesto al marito
di non avere alcun tipo di contatto con lui. Da questo invito sarebbero
nate le menzogne estese a Tony Pike perché durante le telefonate fatte
dall’albergatore per avere notizie del figlio, la moglie sarebbe stata
sempre presente.
Heather avrebbe confermato questa ricostruzione ma – come abbiamo
evidenziato – non è mai stata chiamata a deporre al processo, né
dall’accusa né dalla difesa.
***
L’alibi di Knott (la cena alle 19:00 del 15 febbraio 1998) sarebbe
un’evidente falsificazione.
Knott viveva in un angusto miniappartamento ospite di un italo-tedesco,
Mauro Lazzini. L’appartamento era composto da una camera, una cucina, un
soggiorno e un bagno.
Non sarebbe stato un ambiente adatto per ospitare una cena né mai, prima
di quella data, l’appartamento (proprio per questi limiti di spazio) era
stato sede di cene estese a invitati.
***
La testimonianza di Mauro Lazzini confermerà alcune dichiarazioni rese
da Knott.
Secondo Lazzini accadde che la sera di giovedì 19 febbraio, dopo essere
stato ascoltato dalla polizia di Miami, Enrico Forti raggiunse Knott nel
suo appartamento.
Il motivo della visita era quello di esortare lo stesso Knott alla fuga
dagli Stati Uniti.
Forti avrebbe avvisato Knott che la polizia stava procedendo anche nei
suoi confronti per espatrio illegale e altro. All’obiezione di Knott,
che diceva di non volersi allontanare e di non avere neppure i soldi per
farlo, Forti avrebbe insistito sostenendo di essere pronto a pagare il
costo di quell’allontanamento.
Forti sarebbe tornato l’indomani mattina e avrebbe consegnato mille
dollari a Knott.
Alcuni accertamenti svolti dalla polizia sui prelievi del bancomat
permisero di accertare che Forti, in effetti, aveva prelevato mille
dollari la mattina del 20 febbraio 1998.
La difesa ha ritenuto questa testimonianza fondata solamente su delle
congetture. Lazzini non avrebbe visto quella sera di persona il Forti,
ma avrebbe riferito soltanto quanto dettogli dal Knott.
***
La difesa ha affermato che Enrico Forti, uscito dall’aeroporto con Dale,
accettò di fermarsi a un distributore dove l’ospite comprò delle
sigarette e fece una telefonata.
Tornato in auto, sarebbe stato lo stesso Dale a comunicare a Forti il
cambiamento di programma, pregandolo di accompagnarlo al Rusty Pelican,
dove lo avrebbero atteso alcuni amici di Knott.
Dale avrebbe detto: «Me la spasserò per qualche giorno con loro. Non
dire a nessuno che mi hai visto e dove sono andato. Ci sentiamo quando
arriva mio padre».
Sarebbero state queste le ultime parole pronunciate da Dale davanti a
Forti.
***
Durante il processo Tony Pike si presentò per testimoniare sostenuto da
due infermiere, pallido e traballante. Era il 10 giugno 2000. Qualche
tempo dopo, due turiste trentine testimoniarono di essere state ospiti
dell’Hotel Pike a Ibiza, di essersi intrattenute con un abbronzantissimo
Anthony Pike, brillante ospite sia alla sera presso il piano-bar che di
giorno in piscina, dove «si tuffava e nuotava come un giovanotto»…
La messinscena delle infermiere presso la Dade Court di Miami sarebbe
stata studiata ad arte per influenzare la giuria.
***
Durante la deposizione di Tony Pike al processo, di fronte alla precisa
domanda della difesa:
«Forti le ha mai rubato denaro?»
Pike rispondeva deciso:
«No, Forti non mi ha mai rubato nulla».
Il pubblico ministero, riprendeva veemente il suo stesso testimone:
«Come non ha rubato nulla? Ha rubato la vita di tuo figlio!».
Davanti all’inevitabile obiezione della difesa, il giudice richiamava
l’accusatore e invitava la giuria di non tenere conto di questo “scatto
d’ira” condizionante il processo.
Si può essere certi che la giuria non sia stata influenzata da questa
circostanza nel prendere in seguito le sue decisioni?
***
La settimana antecedente le requisitorie finali del processo, la difesa
ebbe l’idea (non nuova negli studi legali americani che assistono
clienti considerati facoltosi) di allestire una simulazione del
processo: un giudice, un pubblico ministero ed una giuria, come sul set
di un film.
Gli avvocati procedevano con il dibattimento, le arringhe della difesa e
le requisitorie dell’accusa. Dopo questo processo fittizio vi fu la
decisione della giuria: non colpevole!
Avvalorando questa incredibile messinscena, la difesa informava la
famiglia del Forti di essere assolutamente certa dell’assoluzione,
invitandola a «mettere dello champagne in frigo per festeggiare a
casa con lui la settimana seguente»…
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