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Ci sono aspetti di questa vicenda che non si possono definire ne' fatti ne' circostanze. Si tratta di dichiarazioni, situazioni, accadimenti esterni e coincidenze, posti a margine della vicenda, che ne rendono ancora piu' difficoltosa l’interpretazione e introducono un’area di sospetto non verificabile e pericolosamente fuorviante. Nel capitolo introduttivo ho accennato all’omicidio di Gianni Versace. In che modo l’assassinio di Versace si puo' ricollegare alla vicenda Forti? La risposta, in apparenza, e' semplice: non esiste alcun collegamento diretto e se mai un collegamento fosse esistito il giudice del processo contro Forti ne vieto' ogni menzione. L’unico contatto rilevabile riguarda Thomas Knott, che era in rapporti di amicizia (era un suo connazionale) con il tedesco Siegfried Axtmann. Quest’ultimo frequentava altri tedeschi che bazzicavano gli ambienti omosessuali di Miami. Tra loro c’era Matthias Ruehl, che acquisto' la casa galleggiante (house boat) dove gli investigatori ritrovarono il corpo senza vita di Andrew Cunanan, l’assassino di Gianni Versace. Ma secondo voce di popolo, mai investigata a fondo dagli organi di polizia, l’acquisto della casa si riteneva fittizio. In realta', il proprietario di quella strana abitazione sull’acqua doveva essere individuato, a ogni effetto, in un altro tedesco, Torsten Reineck, facoltoso titolare dell’Apollo SPA and gay center di Las Vegas: un centro di benessere termale aperto alle frequentazioni omosessuali. Torsten Reineck ha sempre negato di conoscere Andrew Cunanan e quindi non si capisce come mai quest’ultimo fosse finito proprio in quella casa galleggiante per suicidarsi dopo avere assassinato Gianni Versace. Ma c’e' una circostanza che invece comproverebbe l’esistenza di rapporti precedenti tra i due: sia Reineck che Cunanan avevano un passaporto del fantomatico Principato di Sealand, una specie di piattaforma di atterraggio ed ex fortezza militare in disuso, off-shore che si era autoproclamata Stato ma che in realta' mai aveva avuto riconoscimento dalla comunita' internazionale.
Reineck, addirittura, si era eletto
rappresentante ufficiale del Principato di Sealand, dei cui fregi e
delle cui bandiere aveva adornato le sue auto: una Excalibur e una
Cadillac del 1956. Non e' facile ricostruire il contesto dei collegamenti, ma – con l’evidenza delle cose – solo il rapporto di conoscenza con Thomas Knott permise a Forti di dare esito concreto all’idea di comprare la casa galleggiante di Matthias Ruehl (che agiva per conto di Torsten Reineck) per far valere ogni diritto economico connesso allo sfruttamento dell’immagine. La questione – se si vuole essere concreti – inizia e finisce in questo tenue e lontano rapporto di frequentazione tra connazionali tedeschi a Miami, casualmente inquadrabile nella follia del gesto assassino che cancello', con due colpi di pistola alla testa, la vita dello stilista italiano. Se poi si considera che la casa galleggiante non galleggio' per molto tempo (si inabisso' parzialmente e quindi fu affondata dalla polizia) si ha la misura completa delle cose. I rapporti tra “i tedeschi di Miami” e Knott muovono, pero', i sussurri e le voci del complotto vendicativo (e postumo), perche' Forti aveva promosso l’idea che Cunanan fosse stato solo uno strumento e che, addirittura, non fosse lui l’assassino dello stilista italiano. Secondo Forti, attorno all’omicidio di Gianni Versace si sarebbero mossi interessi inconfessabili, realta' che avrebbero coinvolto la Miami che conta e non solo: gravi questioni di denaro che avrebbero imbarazzato piu' di un potente della comunita' politico-finanziaria internazionale. Su questo tema, Forti rilascio' interviste (American Journal, Miami Herald, New York Post, La Repubblica, Panorama), giro' diversi filmati con la televisione italiana (Rai Tre) e la tv francese Tf1. I sospetti del produttore italiano sono condensati in un lungometraggio intitolato “Il sorriso della Medusa”. Ma – lo ribadisco – si tratta solo di sospetti generici, perche' le deduzioni appaiono piu' suggestive che fondate su prove certe. Vanno registrati, pero', tre elementi importanti. Primo: Thomas Knott, prima di arrivare in Florida, subisce una detenzione di circa quattro anni in Germania per gravi reati di truffa e appropriazione. In singolare assonanza, anche Torsten Reineck e' ricercato in Germania per trentasette capi di imputazione inerenti a gravi reati a sfondo patrimoniale. Secondo: uno degli investigatori del caso Versace (e della controversa caccia all’assassino Andrew Cunanan) e' il detective Gary Schiaffo, al quale Enrico Forti si rivolgera', da New York, per avere aiuto nella ricerca dello scomparso Tony Pike. Schiaffo in seguito venne assunto presso l’ufficio dello State Attorney diretto collaboratore del prosecutor Reid Rubin, pubblico accusatore nel caso Forti Terzo: il giudice del processo contro Forti e' Victoria Platzer, anche lei in forza alla polizia di Miami e, come Gary Schiaffo, impegnata sul fronte Versace-Cunanan prima di essere eletta giudice della Contea di Dade, in Florida. A pensar male si potrebbe insinuare l’idea che l’intraprendenza di Forti riguardo all’omicidio di Gianni Versace avrebbe disturbato il Federal Bureau of Investigation di Miami. Da qui l’iscrizione di Forti nel “libro nero degli indesiderati”. e' tutto: potrebbe essere il baratro infernale o il vuoto pneumatico. Per Forti sara' il baratro infernale, anche se la difesa non riterra' mai opportuno ricusare il giudice per la sua sospetta vicinanza all’FBI e il suo ruolo nel caso Versace. Fuori da questa coincidenza, pero', e' arduo comprendere come avrebbe fatto l’FBI a creare artificiosamente un complesso di situazioni accusatorie del rango di quelle verificate per l’omicidio di Dale Pike. L’ FBI ha forse fatto acquistare all’imputato la pistola calibro .22? L’ FBI ha forse promosso le trattative per l’acquisto dell’hotel Pikes? L’ FBI ha forse prelevato la vittima all’aeroporto? L’ FBI ha forse istruito Thomas Knott per incastrare l’imputato? L’ FBI ha forse convinto l’imputato a mentire alla polizia di Miami? Bastano queste domande per fugare ogni sospetto di trappole e complotti. Almeno di trappole e complotti di tipo preventivo, ossia progettati per far cadere l’italiano nella rete di un’apparente colpevolezza. Cosi' il collegamento con l’omicidio Versace perde ogni residua valenza e resta una vacuita' che non e' di ausilio alla difficile posizione dell’imputato Forti. Avrebbe, invece, aiutato l’approfondimento sotto un altro profilo. Se l’assassino seriale Andrew Cunanan si rifugio' in quella casa, e' segno che quel luogo lo aveva frequentato in precedenza. Axtmann (o chi per lui) era amico di Knott, quindi si poteva desumere che l’ambiente frequentato da Knott fosse quello della Miami senza scrupoli, persa tra droga e violenze, grandi o piccole che fossero. Ma e' la stessa tesi di Enrico Forti (raccontata nel corso del servizio televisivo) che avvalora questa interpretazione delle cose. Secondo Forti, infatti, il presunto assassino di Versace non avrebbe soggiornato nella casa galleggiante, ma vi sarebbe stato portato, gia' “suicidato”, da qualcuno che avrebbe poi inscenato l’intervento della polizia di Miami. Se questa e' la ricostruzione del caso, allora si potrebbe sostenere che Axtmann o Matthias Ruehl (oppure Torsten Reineck) fossero in relazione con ambienti informativi della polizia e che la loro opera cooperativa servi' a chiudere per sempre ogni maliziosa dietrologia sull’omicidio dello stilista. Se i tedeschi erano uomini “nella disponibilita' della polizia”, lo era anche Thomas Knott? Era questo il punto che forse meritava un approfondimento critico e probatorio. Ma – come vedremo – quel tipo di approfondimento era precluso dal plea bargain e dall’agreement siglato tra lo Stato della Florida e l’imputato Thomas Knott. e' questo l’accordo che portera' Enrico Forti, dritto dritto, alla condanna a vita.
*** Successive inchieste giornalistiche e televisive sull’omicidio di Gianni Versace, condividono le perplessita' espresse da Enrico Forti sulle circostanze molto oscure che hanno lasciato esterrefatti sul modo in cui la polizia di Miami ha chiuso l’inchiesta. Molte persone, fra cui il compagno di Versace per 15 anni, Antonio D’Amico, hanno sollevato notevoli dubbi sul fatto che Andrew Cunanan fosse il vero assassino di Versace, avvalorando la tesi di Forti secondo la quale tutta la vicenda e' stata “montata ad arte”, lasciando quell’omicidio senza spiegazioni plausibili e senza un’apparenza di movente. Ragionando attentamente sulle due vicende si puo' trovare il possibile collegamento. Forti conosce Thomas Knott, un tedesco che viene ad abitare sotto casa sua sotto le mentite spoglie di un “maestro di tennis”. Thomas Knott e' amico di un altro tedesco: Siegfried Axtmann. Quest’ultimo gestisce un club esclusivo gay a Las Vegas insieme ad un altro tedesco, Matthias Ruehl (che agisce e traffica per conto di un altro affarista tedesco, Torsten Reineck). Matthias Ruehl (come prestanome di Torsten Reineck), e' il proprietario della casa galleggiante dove e' stato rinvenuto il cadavere di Cunanan sulla Collins Avenue a Miami. Dopo l’omicidio di Versace, Knott entra in contatto con il Forti e gli dice di essere in ottimi rapporti con i tedeschi proprietari della casa galleggiante e avrebbe potuto favorirlo per affittare la casa e realizzare dei servizi televisivi e giornalistici in esclusiva. Cunanan era dichiaratamente gay e un “habitue'” di questi “club esclusivi”. Non e' da escludere la possibilita' che proprio Axtmann e Ruehl avessero individuato Cunanan, aduso frequentatore di ambienti gay. Non altrettanto e' stata in grado di fare l’FBI che ricercava Cunanan da molto tempo per altri omicidi. Forti afferma, avvalendosi dei referti medici, che Cunanan era gia' morto da almeno quarantotto ore cosi' escludendo la tesi del “suicidio” avvenuto nelle ore precedenti l’irruzione della polizia nella casa galleggiante. Inoltre la “tecnica” degli omicidi precedenti di Cunanan, nulla aveva a che vedere con quella usata dal killer professionista che quella mattina uccise Versace sulla Ocean Drive: due colpi di pistola alla nuca, precisi e mortali. Era il 15 luglio 1997. Sette mesi dopo Dale Pike viene a Miami. Solo per fare una vacanza ospite di Forti? O per discutere la vendita dell’hotel di suo padre? Oppure, come asserisce Forti, per ricattare Knott e riavere per se' i soldi rubati al padre? Dale viene ucciso il giorno stesso del suo arrivo, dopo che Forti l’aveva lasciato al ristorante Rusty Pelican, e rinvenuto il giorno seguente su una spiaggia non lontana. e' stato ucciso con due colpi di pistola alla nuca, precisi e mortali, esattamente come nel caso Versace. Era il 15 febbraio 1998. Knott diventa, inevitabilmente, un possibile anello di congiunzione fra i due casi. Sewer Beach, la spiaggia di Virginia Key, dove e' stato rinvenuto il cadavere di Dale Pike, dista un paio di miglia in linea d’aria da Ocean Drive, dove e' stato ucciso Versace. C’e' anche una strana simbologia nel morire ucciso a Sewer Beach… Quello che segue e' un dialogo tratto dall’archivio ufficiale Nelson Waller: «Che tu ci creda o no, c’e' tanta segregazione razziale anche a Miami. Ho incontrato piu' razzisti a Miami Sud che a Jefferson, in Arkansas… Si sa di un posto a Virginia Key chiamato Sewer Beach (“spiaggia della fogna” perche' vicina ad un impianto di depurazione) dove i razzisti si riuniscono per guidare i loro fuoristrada su e giu' per la spiaggia, giocare a frisbee con i loro pit bull e bere birra. Alla fine di Sewer Beach c’e' Fag Beach (spiaggia degli omosessuali). Fino a quando i froci se ne stavano nelle loro piccole alcove non c’erano problemi, ma si cacciavano semplicemente nei guai se oltrepassavano la collinetta che divideva le due aree. Parecchi di loro sconfinavano, e i piu' venivano bastonati quasi a morte. Immagina, era talmente palese che (i razzisti) vendevano le magliette con la scritta “Sewer Beach Fag Patron” (pattugliamento omosessuali ndr). Gli amministratori alla fine si stancarono dei froci che venivano stesi da grossi fuoristrada, cosi' chiusero al traffico la spiaggia. Fu una buffonata anche se perduro'. Comunque una volta usciti dalle aree razziste della Contea di Dade, Miami e' comunque un inferno razziale». Le singolarita'
Bisogna raccontare altri aspetti di questo caso per comprendere, pienamente, con quale atteggiamento psicologico le parti giocheranno i loro ruoli nel corso del processo. Piu' che fatti o circostanze, sono vere e proprie singolarita' del contesto. Le ho inserite sotto questo titolo perche' in altro modo non saprei definirle. Si tratta di singolarita' di natura strutturale e singolarita' di gestione delle prove. e' molto singolare, per esempio, che il processo americano attribuisca l’ultima parola all’accusa e non alla difesa. Pertanto, la requisitoria del pubblico ministero Reid Rubin (che leggerete di qui a poco) e' l’ultimo atto del processo prima che i giurati escano dall’aula e si riuniscano in camera di consiglio per deliberare. Non e' cosa da poco. La suggestionabilita' dei giurati (cittadini eletti a sorte) e', purtroppo, un fatto notorio. e', ancora, molto singolare che il processo non permetta ai giudici di indicare alle parti temi nuovi o integrazioni probatorie: la decisione va presa sulla base di quello che le parti hanno deciso di mostrare loro. Quindi, inspiegabilmente, non sono stati ascoltati, nel processo, l’imputato Forti, la moglie Heather, il condannato per reato collegato Thomas Knott e altri che pure avevano partecipato direttamente ai fatti. L’estrema singolarita' di questo modo di procedere appare evidente.
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Ho gia' accennato al ruolo del giudice Victoria Platzer. Sicuramente, l’avere svolto funzioni inquirenti nel processo per l’omicidio Versace poteva in qualche modo generare una causa (anche solo virtuale) di incompatibilita'. Ragioni di opportunita' avrebbero, quindi, suggerito la sua astensione. La difesa del Forti non ricuso' quel giudice per causa del possibile sospetto. Il giudice non ritenne di doversi astenere (fin qui fisiologia della libera scelta) ma, nello stesso tempo, decise di estromettere la possibile prova del “complotto” ai danni di Forti facendosi giudice di se stesso, ossia esaminatore di una circostanza che incideva sulla propria incompatibilita'. Un’altra ragione di opportunita' avrebbe poi suggerito al giudice l’astensione: Victoria Platzer era stata giudice del processo contro Knott (caso n. 6051 del 1998) in cui ogni possibile accusa connessa all’omicidio era stata oggetto di patteggiamento.
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Un altro aspetto singolare riguarda la cauzione che fu imposta al momento in cui l’imputato, accusato di truffa e circonvenzione di incapace, fu rimesso in liberta' condizionata. La cauzione fissata per Forti fu pari a dieci milioni di dollari, una cifra record negli USA per un caso di truffa (poi commutata con il blocco di tutte le sue proprieta'). Esisterebbe, in tal senso, una registrazione del Tribunale definita Arthur Hearing del 24 febbraio 1998 che ne comproverebbe l’effettivita'. Tutto cio' farebbe pensare ad una sorta di prevenzione nei confronti dell’imputato. Su questo aspetto del pregiudizio, Forti non risparmia gravi sospetti di natura xenofoba. La notte tra il 20 e il 21 febbraio 1998, in cui avvenne l’arresto, il detective Gonzales, nel togliere gli effetti personali all’imputato, avrebbe preso una fotografia dei suoi bambini e avrebbe detto: «Tu sei l’italiano che ha detto che la polizia di Miami e' corrotta? Non vedrai piu' i tuoi bambini». Avrebbe preso la foto e l’avrebbe strappata sotto i suoi occhi gettandola in un cestino. e' inutile cercare questa circostanza tra gli atti del processo dibattimentale.
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La sera dell’arresto, Forti sarebbe andato di sua iniziativa alla stazione di polizia senza un avvocato perche' il suo amico Gary Schiaffo (lo ricorderete, era il detective) lo aveva rassicurato sul carattere del tutto informale dell’incontro. Schiaffo era lo stesso uomo che aveva collaborato con Forti nella realizzazione del filmato “Il sorriso della Medusa” sul caso Versace e sulla fine di Andrew Cunanan.
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Singolare e' la contestazione su alcune circostanze storiche gia' delineate prima. Secondo la ricostruzione evidenziata dalla difesa, il cadavere di Dale Pike era completamente nudo e avrebbe avuto accanto solo il cartellino d’ingresso negli Stati Uniti. Da qui il dubbio che il cartellino fosse scivolato “per caso” vicino al corpo (era gia' sera e la visibilita' limitata) o fosse stato lasciato li' di proposito per facilitare il riconoscimento della vittima e coinvolgere cosi', inevitabilmente, Enrico Forti nell’omicidio.
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La difesa, inoltre, sostiene che il motivo del viaggio di Dale sarebbe stato piuttosto quello di fare una vacanza proprio per conoscere Forti: Tony Pike avrebbe desiderato che il figlio potesse lavorare con qualche mansione all’Hotel Pikes. A conferma di questo assunto esisterebbe una telefonata registrata tra Helen Desrossiers e Tony Pike che comproverebbe questa affermazione. Il colloquio non e' stato mai accettato come prova perche' registrato illegittimamente in Canada, cioe' fuori dalla giurisdizione americana.
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Secondo la difesa, il notaio Leo'n Pina, sarebbe stato ascoltato dal pubblico accusatore Reid Rubin nel corso di un suo viaggio in Spagna. In una lettera spedita agli avvocati di Enrico Forti, il notaio avrebbe dichiarato che il rappresentante dell’accusa sarebbe andato a Madrid non per verificare la regolarita' del contratto di compravendita dell’albergo, ma per trovare prove contro l’imputato. Avendo fornito una testimonianza favorevole a Forti (per quanto riguardava la regolarita' del contratto), il notaio Pina sarebbe stato depennato dalla lista dei testimoni e diffidato dal recarsi a Miami per testimoniare al processo.
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La domanda che la difesa ritiene non abbia mai avuto una ragionevole risposta istruttoria riguarda le modalita' dell’omicidio se poste in rapporto con le qualita' intellettive dell’imputato. Un immaginario interlocutore potrebbe anche chiedersi come mai l’imputato, con un punteggio superiore alla media ottenuto nei test di intelligenza (rilevabile dalla sua scheda dell’esame psicologico sostenuto dopo l’arresto) e molto istruito (parla correntemente cinque lingue), avesse potuto pianificare un omicidio, andando a prelevare la vittima all’aeroporto in tempi e modi cosi' ristretti e dimostrando a tutti di essere l’assassino. In altre parole, questo insensato modo di procedere sarebbe stato come dichiarare: «Sono stato io… ma come fate a non capire?». La singolare prospettazione della difesa crea conseguenze paradossali. Per spiegare questo paradosso concettuale si deve ricorrere ad una specie di gioco di parole: Se la difesa ritiene che e' talmente evidente che sia stato il Forti che non puo' essere stato lui, in valutazione diametralmente opposta l’accusa deduce che la chiarezza delle circostanze non lascia adito ad alcun dubbio sulla responsabilita'. Come e' facile constatare le situazioni pirandelliane non hanno come scenario solo la Sicilia…
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Sul tema delle menzogne riferite alla moglie e al padre della vittima il racconto della difesa si inerpica come segue: Tony Pike sarebbe arrivato a Miami soltanto alla fine di novembre 1997, ospite di Knott. Avrebbe conosciuto Heather Forti e i bambini per caso, mentre Enrico era assente per lavoro. Nei giorni seguenti, frequentando la piscina comune del condominio in cui abitavano, si sarebbe consolidata una specie di amicizia. In quella circostanza Tony avrebbe parlato con Heather anche del figlio Dale, indicandolo come una persona inaffidabile e dedita ai vizi piu' sfrenati e con la quale non aveva piu' rapporti da almeno nove anni. Tre mesi piu' tardi, quando si prospetto' la possibilita' di ospitare Dale a casa loro, Heather si oppose drasticamente e avrebbe chiesto al marito di non avere alcun tipo di contatto con lui. Da questo invito sarebbero nate le menzogne estese a Tony Pike perche' durante le telefonate fatte dall’albergatore per avere notizie del figlio, la moglie sarebbe stata sempre presente. Heather avrebbe confermato questa ricostruzione ma – come abbiamo evidenziato – non e' mai stata chiamata a deporre al processo, ne' dall’accusa ne' dalla difesa.
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Per la difesa l’alibi di Knott (la cena alle 19:00 del 15 febbraio 1998) sarebbe un’evidente falsificazione. Knott viveva in un angusto miniappartamento ospite di un italo-tedesco, Mauro Lazzini. L’appartamento era composto da una camera, una cucina, un soggiorno e un bagno. Non sarebbe stato un ambiente adatto per ospitare una cena ne' mai, prima di quella data, l’appartamento (proprio per questi limiti di spazio) era stato sede di cene estese a invitati.
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La testimonianza di Mauro Lazzini confermera' alcune dichiarazioni rese da Knott. Secondo Lazzini accadde che la sera di giovedi' 19 febbraio, dopo essere stato ascoltato dalla polizia di Miami, Enrico Forti raggiunse Knott nel suo appartamento. Il motivo della visita era quello di esortare lo stesso Knott alla fuga dagli Stati Uniti. Forti avrebbe avvisato Knott che la polizia stava procedendo anche nei suoi confronti per espatrio illegale e altro. All’obiezione di Knott, che diceva di non volersi allontanare e di non avere neppure i soldi per farlo, Forti avrebbe insistito sostenendo di essere pronto a pagare il costo di quell’allontanamento. Forti sarebbe tornato l’indomani mattina e avrebbe consegnato mille dollari a Knott. Alcuni accertamenti svolti dalla polizia sui prelievi del bancomat permisero di accertare che Forti, in effetti, aveva prelevato mille dollari la mattina del 20 febbraio 1998. La difesa ha ritenuto questa testimonianza fondata solamente su delle congetture. Lazzini non avrebbe visto quella sera di persona il Forti, ma avrebbe riferito soltanto quanto dettogli dal Knott.
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La difesa ha affermato che Enrico Forti, uscito dall’aeroporto con Dale, accetto' di fermarsi a un distributore dove l’ospite compro' delle sigarette e fece una telefonata. Tornato in auto, sarebbe stato lo stesso Dale a comunicare a Forti il cambiamento di programma, pregandolo di accompagnarlo al Rusty Pelican, dove lo avrebbero atteso alcuni amici di Knott. Dale avrebbe detto: «Me la spassero' per qualche giorno con loro. Non dire a nessuno che mi hai visto e dove sono andato. Ci sentiamo quando arriva mio padre». Sarebbero state queste le ultime parole pronunciate da Dale davanti a Forti.
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Durante il processo Tony Pike si presento' per testimoniare sostenuto da due infermiere, pallido e traballante. Era il 10 giugno 2000. Qualche tempo dopo, due turiste trentine testimoniarono di essere state ospiti dell’Hotel Pike a Ibiza, di essersi intrattenute con un abbronzantissimo Anthony Pike, brillante ospite sia alla sera presso il piano-bar che di giorno in piscina, dove «si tuffava e nuotava come un giovanotto»… La messinscena delle infermiere presso la Dade Court di Miami sarebbe stata studiata ad arte per influenzare la giuria.
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Durante la deposizione di Tony Pike al processo, di fronte alla precisa domanda della difesa: «Forti le ha mai rubato denaro?» Pike rispondeva deciso: «No, Forti non mi ha mai rubato nulla. Il pubblico ministero, riprendeva veemente il suo stesso testimone: «Come non ha rubato nulla? Ha rubato la vita di tuo figlio!». Davanti all’inevitabile obiezione della difesa, il giudice richiamava l’accusatore e invitava la giuria di non tenere conto di questo “scatto d’ira” condizionante il processo. Eccepisce la difesa: si puo' essere certi che la giuria non sia stata influenzata da questa circostanza nel prendere in seguito le sue decisioni?
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Ultima singolarita' al limite del tragico paradosso: La settimana antecedente le requisitorie finali del processo, la difesa ebbe l’idea (non nuova negli studi legali americani che assistono clienti considerati facoltosi) di allestire una simulazione del processo: un giudice, un pubblico ministero ed una giuria, come sul set di un film. Gli avvocati procedevano con il dibattimento, le arringhe della difesa e le requisitorie dell’accusa. Dopo questo processo fittizio vi fu la decisione della giuria: non colpevole!
Avvalorando questa incredibile messinscena,
la difesa informava la famiglia del Forti di essere assolutamente certa
dell’assoluzione, invitandola a «mettere dello champagne in frigo per
festeggiare a casa con lui la settimana seguente»…
Continua...
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