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Pubblicazione iscritta il 26/03/1983 al n.10 del Registro della Stampa presso il Tribunale di Palermo
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Oltre il ragionevole dubbio 
(Il caso Forti)

Il principio

 

Durante il nostro incontro, il funzionario del Consolato generale italiano di Miami aveva fatto riferimento a René Descartes per affermare il principio che il dubito ergo sum non è nato negli Stati Uniti d’America. Qui chiarirò meglio cosa intendeva dire con quelle parole.
Va affrontato adesso un argomento che può apparire ostico perché tecnico (o, quantomeno, per addetti ai lavori) e che invece contiene, nella sua sintesi, il motivo principale della condanna all’ergastolo di Enrico Forti per l’omicidio di Dale Pike.
Cercherò, per quanto possibile, di usare parole e concetti chiari a tutti, anche se la difficoltà nella comprensione è direttamente proporzionale all’amore che si nutre nei confronti di quella cosa stranissima che è la filosofia. E la filosofia ha un ruolo nel processo contro Chico il surfista.
Ho cercato di stabilire, fino a questo momento, una serie di avvenimenti che si sono verificati con certezza e ho deliberatamente escluso dalla mia disamina situazioni e circostanze che non sono obiettive, ovvero che, per labilità o contestazione, si possono ritenere condizionate da interpretazioni soggettive e quindi opinabili.
In altri termini, ogni riferimento si è basato su una ragionevole certezza.
Questa scelta non è frutto di una strategia narrativa né di un artificio dialettico. Questo è il metodo adottato negli Stati Uniti d’America, da nord a sud, da est a ovest, in modo omogeneo per tutte le cinquanta amministrazioni federate e nelle centinaia di Contee Distrettuali. È ciò che la giurisprudenza definisce beyond any reasonable doubt, cioè l’accertamento del fatto e delle circostanze di ogni delitto oltre ogni ragionevole dubbio sull’effettiva responsabilità dell’imputato.
Se c’è certezza, non c’è dubbio sulla colpa: semplice e complicato allo stesso tempo.
Il dubbio diventa così il centro del processo penale.
Potrebbe apparire singolare che la macchina della giustizia degli Stati Uniti (che per la sua eccellenza ha ispirato moltissimi romanzi e film) abbia rinunciato alla perfezione scientifica nella determinazione della prova, affidandosi alla pura filosofia teoretica. Ma a guardar bene non c’è, umanamente, nessun’altra soluzione. Almeno se si vuole garantire la libertà di convincimento dei giurati e quindi il giusto giudizio. Aspetto assai delicato, questo, di un sistema che vuole affermarsi come democratico.
Il dubbio – lo ribadisco – è il delicatissimo centro del lavoro dei giudici americani. Ma – e la domanda potrebbe risultare destabilizzante – che cosa è esattamente il dubbio?
Oppure – ancora più complicato – quando si può affermare con serenità che la soglia del dubbio è stata posta ragionevolmente alle proprie spalle?
Dato che il dubbio deve essere ragionevole (reasonable doubt), esiste uno strumento che permette di misurare fino a che punto qualcosa può definirsi ragionevole?
Premesso che, per procedere alla condanna, anche il più piccolo dei dubbi deve essere superato (any), è giusto dire che non deve sopravvivere nemmeno un briciolo d’incertezza residua?
Chi stabilisce quanto sia grande questa particella (any) di incertezza?
Se le parole hanno ancora un valore e un senso, che determinazione va attribuita all’avverbio inglese beyond, che traduce il concetto di “al di là”, “al di sopra”, “oltre” e simili?
In che misura la responsabilità deve distaccarsi sopra il dubbio?
Sembrano domande banali o esercizi intellettuali da studenti di primo corso. Invece sono le questioni che gravano ogni giorno in tutte le aule di giustizia penale degli Stati Uniti e, aggiungerei, non solo di quel Paese.
Sono interrogativi che fanno la differenza tra un’assoluzione e una condanna a morte.
Proprio in questo tragico arrovellarsi sulle domande interviene René Descartes (da noi conosciuto come Renato Cartesio per la funesta usanza, propria del periodo fascista, di tradurre i nomi, anche storpiandoli, per convincere la gente che si trattasse di pensatori italiani), vissuto in Francia dal 1596 al 1650.
Il filosofo è considerato il padre della teoretica moderna perché, per la prima volta nella storia del pensiero umano, propone il metodo della ragione attraverso il dubbio.
Evidentemente, ai suoi tempi, la ragione si doveva essere allontanata dal dubbio tanto da generare sciagure e ingiustizie immense.
Cosa dice Descartes che può essere così tanto utile alla giustizia, al processo penale americano e, in ultimo, all’imputato Enrico Forti?
Intanto che deve esistere il massimo di materiale conoscitivo per poter esprimere un qualsiasi giudizio. Non è cosa da poco.
Il filosofo consegna all’umanità anche le regole del metodo, che sono quattro:
La prima è quella dell’evidenza, secondo la quale non si deve mai accettare nulla di vero se non è evidente. Evidenza significa intuizione chiara e distinta di tutti gli oggetti del pensiero ed esclusione di qualsiasi dubbio.
La seconda è quella dell’analisi: un problema è risolto dapprima nelle sue parti più semplici, che vanno considerate separatamente.
La terza regola è quella della sintesi, per cui si passa dalle conoscenze più semplici a quelle via via più complesse.
La quarta è quella dell’enumerazione e revisione, che consentono di ottenere la certezza di non avere omesso nulla nelle procedure precedenti. L’enumerazione controlla la completezza dell’analisi e la correttezza della sintesi.
Sono regole non troppo complicate. Anzi, nel quadro generale della filosofia si possono pure ritenere tra le più semplici. Sono principi che non hanno altra funzione che quella di sottolineare la necessità di un rigore quasi matematico nello svolgimento dei processi logici, quando il risultato in discussione è la conoscenza finalizzata al giudizio. Anche di morte.
Contrastano il pensiero cartesiano: l’approssimazione, l’imperfezione, il salto logico o il legame fantasioso, la verosimiglianza, l’astrazione, la generalizzazione e, in alcuni casi, anche la formalità, quando questa serve a sopperire a una sostanza che non esiste.
La logica, insomma, può avere la pretesa di una “quasi scientificità” se si rispettano i protocolli della sua applicazione nelle diverse fasi che la contraddistinguono. Parlo di “quasi scientificità” perché con queste procedure si controlla il dubbio ma non lo si può, per fortuna, eliminare. Il dubbio resta nell’intelletto umano come campanello d’allarme delle cose irragionevoli.
Il pensiero di Descartes dev’essere estremamente importante se ha resistito per cinquecento anni e se la giustizia americana lo ha posto alla base delle procedure per determinare se qualcuno deve essere condannato alla sedia elettrica.
Una decisione oltre ogni ragionevole dubbio è, quindi, un giudizio che non lascia spazio, nemmeno microscopico, all’incertezza, perché ogni passaggio della decisione trae supporto da processi logici rigorosi, guidati dalla più granitica ragione.
Vedremo se è così nel caso della decisione che ha condannato all’ergastolo Enrico Forti. Ma con certezza già da adesso si può rilevare che un processo più è indiziario (cioè affidato a tracce sparse di colpevolezza che devono essere riunite ordinatamente), più amplifica le maglie di assemblaggio dei collegamenti logici.
Il processo a Enrico Forti è indiziario per la semplice ragione che egli fu individuato quale possibile responsabile del delitto – consumato, come si è detto, il 15 febbraio 1998 – venti mesi dopo.