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un servizio di Albaria per evidenziare
alcuni avvenimenti che corredati da immagini fotografiche potranno
essere in seguito pubblicati anche sulla rivista Albaria
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Albaria
Magazine
Pubblicazione iscritta il 26/03/1983 al n.10 del Registro della Stampa
presso il Tribunale di Palermo
Tutti i
diritti sono riservati
E-mail: albaria@tin.it
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MARE
E FOTOGRAFIA
"MARE
E COLORI DI PALERMO": MODELLISMO NAVALE E PITTURA PER RACCONTARE LA
STORIA DI PALERMO ED IL SUO LEGAME CON IL MARE
Settimana santa all'insegna del modellismo nautico e dei colori offerti
dal mare visti attraverso gli occhi di due mastri dell'Acquasanta, il
modellista Giovan Battista Provenzano ed il pittore Ernesto Ercoleo.
Antiche barche da pesca e suggestive immagini della costa siciliana
hanno così appassionato i visitatori della mostra esposta a Palazzo
delle Aquile.
di Alessandro Costanzo Matta
29/3/2005 –
Si è chiusa il lunedì di Pasquetta la suggestiva mostra d’arte
“Mare e colori di Palermo”, che nell’atrio di Palazzo delle Aquile
per l’intera settimana pasquale ha incuriosito i molti turisti in
visita nel capoluogo dell’isola.
Patrocinata dalla Presidenza del Comune di Palermo l’esposizione,
attraverso il modellismo navale e la pittura, è stata un modo singolare
ma efficace per raccontare la storia della nostra città e del suo
profondo legame con il mare, una realtà spesso dimenticata.
Protagonisti due “maestri” della borgata marinara dell’Acquasanta,
il modellista navale Giovan Battista Provenzano e il pittore Ernesto
Ercoleo, accademico benemerito dell’Università G.Marconi di Roma.
Oltre ai ritratti, ai paesaggi e alle nature morte nelle tele di Ercoleo
c’è la costa palermitana con il suo mare, le sue vecchie tonnare e le
sue barche.
Barche siciliane, che è stato possibile ammirare nelle fedeli
ricostruzioni in scala del maestro Provenzano. Dalla sardara
palermitana alla lancia
palermitana anni ’20, dallo schifazzo,
imbarcazione di punta dell’economia siciliana del XIX secolo allo schifo
da trasporto del 1900. E ancora la riproduzione di una sardara
catanese, di una marticana,
dalle inconfondibili forme di origine araba, di un laotello
del XVII secolo detto “sponzara”, imbarcazione di oltre 20 metri
per la raccolta delle spugne nel nord Africa.
A pesca di pesce spada nello stretto di Messina con una
feluca e con un luntru del
XVI secolo in miniatura: la prima era una barca d’appoggio preposta
all’avvistamento del pesce spada mentre la seconda si muoveva
all’inseguimento della preda dopo aver ricevuto la segnalazione
dall’uomo in cima all’albero della feluca. A seguire un luntru
del XX secolo, più veloce rispetto al suo predecessore, e una
spettacolare spadara feluca
del XX secolo, che, per la sua particolare struttura sinergica della
torre d’avvistamento con il lunghissimo ponte di prua, è riuscita da
sola a sostituire la centenaria accoppiata “luntru – feluca”.
Delle autentiche chicche poi le riproduzioni della lancia da sbarco di
uno degli yacht dei Florio, della galea reale di Francia del XVII sec. e
del brigantino S. Elisa con cui il comandante palermitano Vincenzo Di
Bartolo da Palermo giunse fino a Sumatra.
E mentre un gruppo di turisti provenienti da Malta si incanta davanti al
modellino di una barca da pesca maltese, il maestro Provenzano ci spiega
che la nave più laboriosa, mèta ambita di tutti gli aspiranti
modellisti, è un tre ponti. Ricalcarne le linee richiede tempo,
distribuito essenzialmente in tre fasi. Prima lo scafo, tre mesi. Circa
dieci per l’alberatura, la parte più difficile. Accessori,
particolari e rifiniture, il tocco finale. La realizzazione del modello
della “Victory” di
Horatio Nelson, l’ammiraglia della flotta inglese, ha tenuto
inchiodato Provenzano nel suo laboratorio per ben quattordici mesi. Due
dedicati allo studio teorico e altri dodici alla costruzione vera e
propria. Circa duemila ore di lavoro.
Giovan Battista Provenzano, modellista navigato e versatile, spazia dai
"gusci di noce" ai complicati galeoni duplicati in modo
meticoloso, fino a modelli
ricavati dallo studio attento di uno scatto fotografico più un pizzico
di fantasia. Si dedica a questo hobby da quando aveva nove anni. Da
quando il padre gli insegnò a costruirle le barche, quelle vere. Si
alza presto, alle quattro. Per lui l’orario migliore. Silenzio, mente
fresca e soprattutto occhi riposati. La vista è sottoposta ad uno
stress considerevole. Se fino a qualche anno fa posizionava i bozzelli
ad occhio nudo, adesso usa quattro paia di occhiali e a volte la lente
d’ingrandimento. Prima un chiodino riscaldato per praticare un
semplice foro, ora piccoli trapani elettrici. Tagliabalsa e non più
rudimentali coltellini. Anche la colla è cambiata. Quella a caldo,
solida e puzzolente, dalla forma di lenticchie in sacchettini da
cinquanta e cento lire, ha fatto il suo tempo. Ogni singola parte
dell’attrezzatura navale è fatta a mano. Velatura, alberatura,
manovre fisse e persino correnti non collocate
tout-venant, ma con estrema precisione. Singolare la varietà di essenze
legnose utilizzate. Douglas e faggio per lo scafo, compensato di pioppo
per le ordinate, larice per il ponte, noce per la base degli alberi
fatti di ramino nella parte superiore, tiglio e mogano per le
sovrastrutture, passamano e rifiniture ancora in douglas. Per i cannoni
solitamente d’ottone, quando sono fuori scala, si usa il faggio, legno
duro, che si lavora bene. Sartie, griselle, stragli, draglie, paterazzi
in refe, un filo molto resistente di diverse sezioni. La “pelle
d’uovo”, in gergo, è un cotone leggero per le vele. Gli accessori,
compresi i bozzelli, tutti rigorosamente in scala.
Esprimere con un modello l’essenza stessa di una nave, sintesi
perfetta tra resistenza ed elasticità, potenza e stabilità, non è
cosa da poco né accessibile a tutti. Un distillato di genio e
regolatezza che trasmette anche al profano armonia, vitalità e simbiosi
con il mare.
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