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I fantasmi di TeleDolores
Racconti di calcio e di illusioni
Presentato al Kalhesa a Palermo il secondo libro di Mario Di Caro
Un libro sul calcio che raggruppa cinque racconti che
si leggono tutti d’un fiato, con una tournure che si snoda tra metafore
ed allegorie sapientemente cesellate, in una dimensione quasi onirica a
caccia di fantasmi dalle identità più disparate, evocati dal regista
Umberto Cantone che ha letto alcuni brani alla presenza di numerosi
invitati.
Martedi 13 dicembre a
Palermo al Kursaal Kalhesa del Foro Italico Roberto Alajmo, Marcello
Benfante e Francesco Giambrone hanno presentato “I fantasmi di
TeleDolores” seconda opera del giornalista
Mario Di Caro,
esordiente nel 2005 con “L’ultimo miracolo di Santa Rosalia”. Il libro
pubblicato da “Coppola editore” è un’emblematica storia sul calcio. Che
emoziona e fa soffrire, ma che per il suo aspetto ludico è un potente
antidoto contro tutti i mali. Cinque racconti che si leggono tutti d’un
fiato, con una tournure che si snoda tra metafore ed allegorie
sapientemente cesellate, in una dimensione quasi onirica a caccia di
fantasmi dalle identità più disparate, evocati dal regista Umberto
Cantone che ha letto alcuni brani del libro. Fantasmi che appaiono e
scompaiono su scenari di tv scalcinate ma ancora libere e di teatri
chiusi ma ancora vivi. Aleggiano nella sfida incredibile di un’emittente
di provincia, nell’indimenticabile Italia – Brasile dell’82, nel patto
d’onore di un centravanti di borgata, nella finale stregata di Coppa
Italia Palermo – Bologna del 1974, anno della chiusura del teatro
Massimo, silenzio dell’arte rinnovatrice dei popoli in una città senza
avvenire. Ma interviene il calcio, rimedio salvifico, che tutti
appassiona e coinvolge e lo si gioca all’ombra di un mondiale mutuato
dalla televisione, quella di Stato, anche nel faticoso acuminato
campetto di periferia fuori della luce dei riflettori e senza il clamore
delle tifoserie. E’ la trasposizione dello sport più diffuso nel mondo
in una dimensione per comuni mortali. Che fra un dribbling, un cross, un
colpo di testa si immedesimano nei grandi campioni, mentre adrenaliniche
suggestioni li proiettano virtualmente nell’empireo dell’audience, degli
stadi gremiti, del tifo sfegatato, calciando una sfera di cuoio che
distante anni luce da stipendi ed incassi miliardari, anche lì nel fango
di un’anonima arena batte il portiere, entra in rete, è goal. E’ il
calcio interpretato dalla gente comune. Che sogna ad occhi aperti e
percepisce cose che sfuggono a chi sogna solo di notte. Un condensato
della forza di un’idea, che diviene fede di eroi sconosciuti che
inesorabilmente tornano alla realtà dura e cruda della vita quotidiana.
Sempre pronti, nonostante tutto, a sintonizzarsi sull’onda della
sublimazione della propria identità appena si spalancano le porte del
grande calcio ed entrano in campo i campioni e l'ingiusta sconfitta, nel
cuore è lo stesso una vittoria. Una sorta di rêverie, che non è
un vuoto mentale ma la pienezza dell’esistenza. Ritorna così la musica,
riprende la vita e potrebbe essere qui il lieto fine, ma un gusto amaro,
da velato sottofondo riemerge prepotente in un perfido sorriso,
ricordandoci che il male è sempre in agguato.
Alessandro Costanzo
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