Nick The
Nightfly
IL VOLO NELLA NOTTE
di Gigi Razete
Il suo vero nome è
Malcom MacDonald ma tutti lo conoscono come Nick The Nightfly: da molti
anni la sua è la più popolare ed amata tra le voci della notte che
attraverso l’etere tengono compagnia a quanti considerano la radio una
preziosa amica cui chiedere buona musica, calore ed emozioni. E’
scozzese di Glasgow ma il successo avuto in Italia gli ha fatto mettere
radici e famiglia nel nostro paese. Parla un italiano abbastanza fluente
ed a volte perfino forbito ma non ha perso quelle tipiche inflessioni
che ai nostri orecchi suonano deliziose e irresistibili.
In occasione del Windsurf World Festival sarà a Palermo per presentare
il New Jazz Festival On The Beach di cui è direttore artistico e
l’occasione ci è parsa buona per approfondire la sua conoscenza.
- Speaker, deejay,
giornalista, presentatore, musicista: in quale di queste attività che
hai svolto ti riconosci maggiormente?
-Senz’altro in quella di musicista, la mia prima attività. Se non
fosse stato per la musica probabilmente non sarei arrivato alla radio.
Ho iniziato, infatti, come cantante solista, chitarrista, turnista,
corista. Un’amica di Radio Montecarlo, cui piaceva la mia voce, mi ha
proposto di fare della radio e così, in modo assolutamente casuale, è
iniziata la mia avventura nel magico mondo della radio e di tutto ciò
che ne fa parte.
- Un amore che la
radio ha ben corrisposto, visto il successo con cui ti ha ricambiato.
- Si certamente, non lo nego. Ma devo confessare che sono più felice
quando posso stare sul palco a cantare, con un gruppo o da solo con la
chitarra.
- Tra le tue
frequentazioni c’è anche la televisione: sei spesso ospite di molte
trasmissioni e di alcune sei stato anche conduttore.
- Ricordo con grande piacere il periodo in cui, su Italia 1,
conducevo Jammin’. E’ stata un’esperienza molto bella.
- Anche per via
dell’ottima compagnia?
- In effetti c’erano personaggi deliziosi, allora emergenti ed oggi
esplosi a grandi livelli di notorietà, come Federica Panicucci, Samantha
De Grenet, Eleonoire Casalegno, Samuele Bersani. Quella fu la primissima
edizione e fu un’esperienza veramente bella.
- Ma quello per
la tv è un amore che potrebbe sopravanzare quello per la radio?
- Questo no, assolutamente. La radio ha una magia che la tv non ha e
non avrà mai; perchè la televisione ti dà l’immagine di ciò che sta
davanti alla telecamera e tu spettatore la percepisci così com’è, senza
poterla interpretare, cambiare. La radio ti regala un’immagine, come
dire, “immaginaria”; sei tu a ricostruirla con la tua fantasia, la tua
sensibilità. Il dj è lì che ti racconta una storia, ti presenta una
musica, ed è come se lo facesse solo per te; anche tu sei lì con lui,
lavori con lui. Con la radio si è più partecipi, più protagonisti che
non davanti alla tv dove, invece, sei solo un passegero assieme a tanti
altri. La radio ti stimola di più in genere, soprattutto di notte. Io
lavoro soprattutto di notte, quando la gente ha molto più tempo da
dedicare a se stessa. Così, nei miei programmi cerco di creare dei
mondi, delle isole dove l’ascoltatore può venire a visitare le tante
diverse sonorità che io propongo.
- E questa tua
predilezione per la notte spiega il nome notturno che ti sei scelto.
- Anche, ma solo in parte, perchè in realtà “The Nightfly” è il
titolo di uno dei miei dischi preferiti, di Donald Fagen, uno dei due
membri degli Steely Dan.
- Quando sei
venuto nel nostro paese ti è stato facile sintonizzarti coi gusti degli
ascoltatori, abituati ad un panorama musicale ben diverso da quello da
cui provenivi?
- La diversità e la novità della musica che io proponevo sono state
la ragione principale del mio successo: sono stato forse il primo a
diffondere in Italia new age, world music ed un certo
genere di musicisti, allora poco conosciuti: Pat Metheny, Andreas
Vollenweider, Yanni, Susanne Ciani, Deep Forest e moltissimi altri.
Anche la scelta della fascia notturna, che allora era ritenuta poco
importante ed era scarsamente battuta dalla radiofonia, servì a creare
un nuovo pubblico, assai interessato e partecipe.
- E poi c’era la
novità del tuo stile.
- Già. Io preferivo parlare con la gente, raccontare storie: non
sono mai stato un dj di quelli che urlano; la mia musica non ha bisogno
di frasi urlate.
- Da allora com’è
cambiata la musica e come sono cambiati i tuoi gusti?
- La musica è cambiata, certo, ma nella sostanza non è affatto
cambiata. Penso che la distinzione fondamentale sia solo tra musica
buona e musica cattiva. Quello che cambia sono le mode, gli stili ma
ogni novità ha una precisa radice in una realtà precedente. Oggi, ad
esempio, si parla molto di chillout, di lounge e di molte
altre etichette ; ma sono nomi inventati, di comodo; quasi sempre si
tratta di musiche recuperate dal passato. A pensarci bene, forse la
chillout, che proviene da Ibiza e dai dischi del Cafè do Mar, ha
caratteristiche di originalità, di freschezza. E poi nasce per una
esigenza precisa, per il bisogno di offrire atmosfere più morbide,
pacate e rilassanti al pubblico che magari ha trascorso la serata in
discoteca ed è ancora stordito dai ritmi pesanti e dai balli indiavolati
di quei contesti. Nel complesso, però, penso che in questi ultimi
decenni non ci siano stati veri e propri cambiamenti nella musica: non
ci sono stati dei nuovi Beatles nè un nuovo Miles Davis.ù
- Il disco, sia
il vecchio vinile che il moderno Cd, pare sia destinato nell’arco di
pochi anni ad essere soppiantato in favore di supporti virtuali e sempre
più immateriali e la musica, inevitabilmente, ne sarà stravolta sia come
produzione che come distribuzione e, quindi, fruizione. In questo
panorama a venire pensi che la figura del dj sia destinata a scomparire?
- Niente affatto! Sono anzi convinto che il dj di domani avrà un
ruolo ancora più importante. Oggi il dj è un artista a tutti gli
effetti: è un istigatore di nuovi stili e crea nuove tendenze, è uno che
rinnova e mescola assieme vari linguaggi per crearne di nuovi. Di una
figura simile ci sarà sempre più bisogno. Per quanto riguarda poi
l’evoluzione tecnologica, vinile, compact, mp3 etc., questo è un segno
dei tempi, un processo inevitabile che dobbiamo accettare e con cui
dobbiamo imparare a convivere. Certo mi rendo conto che il futuro ha un
suo fascino ma può anche nascondere grossi rischi: penso, ad esempio,
alla grandissima facilità con cui oggi chiunque può duplicare dischi; il
problema della pirateria è certo una delle grosse incognite che il
progresso tecnologico può ritorcere contro la stessa musica. Tuttavia,
il progresso è come una grande autostrada: non puoi andare in senso
contrario.
- Parliamo un po’
del New Jazz Festival On The Beach di cui sei direttore artistico e
presentatore.
- Sono stato felice di aver potuto impaginare un cartellone con
giovani musicisti che ritengo tra i più bravi del panorama italiano:
Roberto Gatto non ha certo bisogno di presentazioni, sia per le
prestigiose esperienze finora accumulate sia per la continua originalità
della sua ricerca musicale; Sergio Cammariere è esploso solo da poco ma
sono certo che il suo indubbio talento e l’innata capacità di mescolare
jazz e canzone d’autore gli guadagneranno molto presto uno spazio di
assoluto rilievo nel panorama musicale europeo; Gegè Telesforo, infine,
è ormai una certezza per le qualità vocali, per la professionalità, per
il suo grande amore per il jazz e per la straordinaria capacità di saper
fare divertire il pubblico.
- Quale è oggi lo
stato di salute del jazz?
- Oggi il jazz è molto popolare e lo sono anche tutte le sue
ramificazioni. Proprio di recente ho avuto l’idea di realizzare una
trasmissione sul jazz. Si chiama “Aperitivo con swing”, lo conduco
assieme a Renzo Arbore, che si è lasciato coinvolgere con grande
entusiasmo, e andrà in onda per tutto il mese di maggio, su Radio
Capital, ogni giorno, dal lunedì al venerdì, dalle 19,10 alle 19,30 (con
replica nel programma notturno). Parliamo soprattutto dello swing
americano, naturalmente, ma anche di tutto il jazz dalle sue origini
fino agli anni Sessanta, facciamo ascoltare le grandi big band, i grandi
vocalist; ma non trascuriamo di occuparci dello swing italiano, dei
deejays che ne hanno stimolato il recupero e l’attualizzazione, e faremo
conoscere le nuove tendenze proposte da gruppi come St. Germain, Koop ed
altri. Insomma, un mélange di musiche del passato e del presente che
dovrebbe divertire il pubblico come sta divertendo me e Renzo.
- Il tuo rapporto
con Palermo?
- Ottimo, visto che ho sposato una palermitana! Ma a parte il dato
personale, devo dire che lavoro molto volentieri nella vostra città.
Ricordo ancora con grandissimo piacere il concerto che l’estate di due
anni fa ho fatto a Villa Trabia con Sarah Jane Morris: è stata una
serata indimenticabile, la villa era piena e gli applausi sinceri e
calorosi; non avrei potuto chiedere un pubblico migliore. Poi sono
ritornato lo scorso dicembre, per la notte di Capodanno, ai Cantieri
Culturali alla Zisa. Anche quella è stata una serata memorabile: un
concerto unplugged dove ho suonato la chitarra acustica assieme
ad alcuni bravissimi musicsti palermitani del gruppo Nuclearte, che di
recente ha inciso un disco per la Real World di Peter Gabriel. C’erano
duemilacinquecento persone e tutte a cantare e divertirsi con noi; è
stato fantastico. Sono veramente innamorato di Palermo e della Sicilia
e, giuro, non è retorica. In questa voglia di musica, di cultura ed in
questa disponibilità e spontaneità a divertirsi trovo molti punti di
contatto tra noi scozzesi e voi siciliani.
- Quanto sei
rimasto scozzese e quanto c’è in te di italiano?
- Le radici non si perdono mai; il mio kilt è nell’armadio, sempre
pronto per le occasioni giuste. Però ho assorbito moltissimo della
vostra cultura, del vostro stile, delle vostre abitudini, della vostra
sensibilità: diciamo che oggi mi sento scozzese e italiano fifty-fifty.
Quando poi guardo le mie due bambine, cinque e sette anni, vedo in loro
la perfetta fusione tra Scozia e Sicilia: una cosa davvero meravigliosa.
-
Torniamo alla
musica: i tuoi ascolti preferiti per adesso?
- Norah
Jones, Bob McFerrin, Koop.
- Conti prima o
poi di portarli a Palermo?
- Magari! Ma adesso, ovviamente, è difficile dirlo. Di sicuro, però,
penso che il New Jazz Festival abbia tutte le potenzialità per avere un
futuro assai luminoso. Quando Albaria mi ha proposto questa
collaborazione per il Windsurf World Festival ho subito capito che
c’erano tutti gli elementi giusti per incominciare a costruire qualcosa
di originale, importante e duraturo. C’è un luogo, Mondello, che è
veramente unico al mondo: coniugare il jazz, lo sport, la cultura e lo
spettacolo su questa spiaggia, con questo mare e sotto questo sole è
qualcosa di assolutamente magico. Questa edizione è solo un punto di
partenza. L’idea è quella di fare del New Jazz Festival un appuntamento
prestigioso per ampiezza, varietà ed attualità di proposte: presentare
il meglio di tutte quelle numerosissime nuove tendenze che ruotano
attorno al jazz o che dal jazz traggono ispirazione. Per l’anno prossimo
penso già ad una manifestazione più ampia e che offra un maggior numero
di contaminazioni: dal Brasile all’Argentina, dalla Francia all’Italia.
Bella musica su una
spiaggia bellissima.
Gigi Razete